Quando le madri decidono di allattare al seno i propri figli vengono spesso assalite dai dubbi circa l’alimentazione corretta da seguire. I consigli – talvolta non richiesti – di amici e parenti sono per lo più frutto di credenze culturali ormai consolidate e finiscono per generare confusione nel merito. Qual è allora l’alimentazione migliore da seguire? Il regime alimentare della madre influisce sulla qualità del latte che produce? Può causare le “coliche” del neonato? Si possono consumare caffè?
La scienza: “Il latte di mamma è sempre perfetto”
Sin dalle epoche più antiche, ai periodi di gravidanza e allattamento sono stati attribuiti i tabù e le prescrizioni alimentari più incredibili. Si è sempre ritenuto – erroneamente – che il mancato rispetto di queste “regole” inficiasse sulla qualità e la digeribilità del latte materno. Molti storici e sociologi ritengono addirittura che tali false credenze possano rappresentare uno dei motivi di disaffezione nei confronti dell’allattamento naturale ai giorni nostri. Soprattutto perché – altrettanto erroneamente – il latte artificiale viene promosso come nutriente valido alla stessa stregua di quello materno.
Le evidenze scientifiche dimostrano invece come non esista alcuna “dieta speciale” da seguire durante l’allattamento, nonostante molte madri si ostinino a modificare il proprio regime alimentare durante questo periodo. Sarebbe bene, invece, preferire sempre per tutta la famiglia una dieta sana ed equilibrata – ricca di nutrienti – in qualsiasi momento della vita.
La scienza dimostra come il latte materno rappresenti sempre il miglior nutrimento per il neonato, anche quando la madre vive in un contesto di malnutrizione (si pensi, ad esempio, ai Paesi del Terzo Mondo). L’alimentazione della mamma che allatta, dunque, non influisce sulla qualità del suo latte, ma ha conseguenze sul suo stato di salute: una donna in fase di allattamento che non si nutre a sufficienza non produrrà un latte povero di nutrienti, ma indebolirà soltanto il proprio corpo; questo perché, se la dieta della madre è povera di calorie, il suo corpo provvederà a fornire quelle che mancano grazie alle riserve accumulate durante la gravidanza o prima. A meno che non vi sia una ragione fisica per una bassa produzione di latte, ogni donna è in grado di produrre abbastanza latte per il proprio bambino, indipendentemente da ciò che mangia.
Il peso dei tabù e il peso dell’allattamento
Nonostante la scienza dica il contrario, in ogni parte del mondo la dieta delle madri durante la gravidanza e l’allattamento è oggetto di particolare attenzione (e anche di screzi in famiglia!). Non sorprende che molte culture stabiliscano un legame diretto tra regime alimentare e latte prodotto per i neonati, né che comportamenti ormai culturalmente appresi – come atteggiamenti superstiziosi e tabù conseguenti – finiscano per destinare al fallimento il progetto che la natura ha suggerito.
Che la natura sia sempre perfetta lo si sa, ma non sempre ci si rende conto degli ostacoli che le si pone, impedendole il suo corso. Così molte mamme che allattano, sopraffatte da assurdi “obblighi” da rispettare, non riescono a proseguire il loro percorso di allattamento.
L’allattamento al seno, invece, è semplicemente una normale fase della vita riproduttiva di una donna che – in ogni momento della propria esistenza – dovrebbe seguire un regime alimentare sano e adeguato alle proprie condizioni di salute.
Richiedere l’intervento di una consulente professionale specializzata in allattamento e svezzamento, allora, può essere un’ottima idea per chiarire ogni lecito dubbio. E per dimostrare, anche ai parenti meno convinti, che l’unica alimentazione da seguire è sempre equilibrata.
La dieta (im)perfetta
Mangiare non è semplicemente un’esigenza fisiologica, bensì un piacere: tutti noi viviamo anche per le “eccezioni”, per i piaceri. Possiamo avere delle abitudini alimentari quotidiane “imperfette”, pur conservando un regime dietetico sufficientemente buono da fornirci i nutrienti necessari alla buona salute.
Le donne meno severe nella dieta, possono comunque allattare con successo e produrre latte di ottima qualità. Anche perché la stessa nozione di “dieta ideale” varia a seconda delle abitudini familiari, della cultura d’appartenenza, della situazione economica, della religione, della stagione. In breve, un’alimentazione sana – per la madre che allatta, come per tutte le altre persone – è tale se varia, equilibrata e quanto più naturale possibile.
Dieta alimentare sana: varietà
Una dieta alimentare corretta e sana dev’essere varia, pure in caso di allergie o intolleranze specifiche, il regime alimentare deve alternare diversi tipi di cibi, in funzione dei pasti, dei giorni, della stagione.
I principali gruppi di alimenti da inserire nell’alimentazione quotidiana sono:
1) verdura e frutta fresca (preferibilmente di stagione), cruda o cotta;
2) cereali di vario genere (grano, riso, mais, orzo, miglio) preferibilmente interi e di diverse forme (semi interi o schiacciati, semola, farina e suoi derivati);
3) proteine animali (latticini, uova, carne, pesce – soprattutto pesce azzurro, povero di agenti inquinanti e ricco di grassi buoni -) e/o vegetali (lenticchie, fagioli, piselli, soia);
4) grassi, consumati con parsimonia e preferibilmente non cotti (es. oli vegetali spremuti a freddo).
La dieta ottimale consiste nel consumare vari alimenti di ciascuno di questi gruppi in forme e preparazioni differenti, così da assorbire meglio i nutrienti. Per esempio, alcune vitamine e proteine vengono assorbite meglio se consumate in presenza di specifiche altre vitamine o minerali (es. il ferro viene assorbito meglio assunto con la vitamina C). D’altra parte, l’eccesso di alcuni alimenti può essere dannoso.
Il cibo “naturale”
L’alimentazione “naturale” è sempre la migliore. Ma questa definizione può avere diversi significati:
- freschezza: il cibo fresco ha un sapore migliore, contiene più vitamine ed è meno probabile si ossidi o venga danneggiato da condizioni di conservazione imperfette. Più breve è il tempo che intercorre tra la raccolta e il consumo di un frutto/verdura, tra la produzione e l’utilizzo di una farina/olio, più sano sarà il cibo;
- nessun additivo: la quantità di additivi dovrebbe essere limitata. L’uso di conservanti prolunga la durata di conservazione di un alimento, talvolta mascherando semplicemente i naturali processi di deterioramento. Il conservante stesso, di solito, non è benefico per la nostra salute e il prodotto alimentare che lo contiene è sempre di qualità nutritiva inferiore rispetto allo stesso prodotto fresco. I profumi e i coloranti migliorano l’odore e l’aspetto durante la preparazione, l’imballaggio, il trasporto, l’esposizione, la vendita, il trasporto e il consumo. Alcuni coloranti sono di origine vegetale e di solito innocui. I coloranti artificiali, invece, possono causare ipersensibilità e altri problemi simili. Ulteriori tipi di additivi sono usati per aumentare la morbidezza, la croccantezza o il gusto dei cibi;
- alimenti interi: i cibi integrali hanno subito una preparazione minima. Trattengono tutte le sostanze nutritive presenti nel cibo di partenza, che non è “raffinato”. Siamo abituati a mangiare pane e pasta di farina bianca, ottenuta eliminando il germe e la crusca di grano, il riso bianco privo di crusca, lo zucchero bianco raffinato e il sale, gli oli raffinati con processi termici e chimici. Molti acidi grassi contenuti negli oli raffinati e nelle margarine sono presenti in una forma inutilizzabile dal nostro corpo. La farina bianca e lo zucchero ci forniscono calorie, ma la maggior parte degli altri nutrienti viene persa durante la preparazione. La maggior parte degli alimenti prodotti con queste farine sono fortificati con piccole quantità di nutrienti (solitamente vitamine) persi durante la raffinazione. Abbiamo anche iniziato a capire l’importanza, per la salute del nostro sistema digerente, delle fibre alimentari che solitamente vengono rimosse durante la raffinazione;
- poco o nessun inquinante: quando il cibo è prodotto in modo senza – o con limitati – pesticidi, insetticidi e fertilizzanti chimici, è più naturale. Il rispetto delle stagioni, la conoscenza delle tecniche e dei fenomeni naturali possono essere di grande aiuto per ridurre al minimo l’uso di sostanze chimiche e il danno da elementi naturali (infestazioni microbiche o parassitarie, per esempio). Poiché i pesticidi e altre sostanze chimiche sono concentrati nel grasso degli animali che mangiano questi alimenti, anche la loro dieta è importante. Per i prodotti animali e vegetali, la certificazione dell’agricoltura biologica contribuisce alla certezza che gli inquinanti siano ridotti al minimo, ma in ogni caso le regole italiane sono molto rigide e i nostri prodotti sono spesso controllati, anche senza certificazione bio.
Ridurre il consumo di grassi animali e carne rossa riduce ulteriormente il consumo di tali sostanze.
Il corretto fabbisogno calorico
La dieta alimentare deve contemplare non solo tutti i nutrienti necessari, ma anche introdurre il fabbisogno calorico di cui si necessita. Per determinare il numero di calorie adeguato, si devono considerare diversi fattori: il proprio indice di massa corporea, le proprie abitudini e attività quotidiane, eventuali patologie.
Anche le donne che allattano – alle quali viene spesso consigliato di consumare circa 500 calorie in più al giorno rispetto alla dieta antecedente la gravidanza – dovrebbero calcolare il proprio fabbisogno in funzione del loro grasso corporeo e dell’intensità delle loro attività giornaliere. Infatti, le recenti ricerche indicano che queste 500 calorie aggiuntive potrebbero essere troppe per alcune e troppo poche per altre.
Le mamme che allattano al seno, dunque, non devono soltanto aumentare il numero di calorie da introdurre, ma anche la quantità di nutrienti nella loro dieta, per soddisfare le richieste aggiuntive che il corpo richiede per la produzione di latte. Se l’alimentazione è equilibrata e sana, l’aumento delle calorie è automaticamente accompagnato dall’aumento di tutti i nutrienti.
Per accelerare il metabolismo – e non essere a corto di energie – sarebbe bene dividere la propria alimentazione quotidiana in tre pasti principali e tre (o più) spuntini, oltre che c bere regolarmente acqua o altri liquidi (spesso dimentichiamo o rinviamo di bere).
La maggior parte delle donne è in sovrappeso al termine della gravidanza; in questo caso i chili accumulati vengono gradualmente persi durante l’allattamento (quando anche il metabolismo diventa più efficiente) e non vi è alcun bisogno di incrementare il numero di calorie da assumere.
Tuttavia, i primi mesi del bebè possono essere difficili da superare e richiedere un grande dispendio di energie fisiche e mentali, soprattutto se il parto non è stato semplice e si ha perso molto sangue.
Oltre a richiedere l’aiuto dei familiari, si può continuare il multivitaminico pre e post natale per alcune settimane o alcuni mesi, utile per il suo contenuto di ferro, calcio, vitamina D e acido folico.
Coliche del bebè e allattamento
Molti genitori temono che possa esserci una relazione tra l’alimentazione della mamma e i disturbi del bebè. Per le “coliche” gli alimenti più “incriminati” sono quelli che culturalmente si ritiene producano gas (cavoli, legumi, mais), anche se la lista si allunga ultimamente con il cioccolato, la carne rossa, la frutta gialla o rossa, i latticini, la frutta secca.
Con “colica” si intende il pianto prolungato del neonato – solitamente al di sotto dei tre mesi di vita – la cui causa resta ancora sconosciuta. Nonostante l’esistenza di diverse teorie, si trascura ancora che una delle motivazioni risiede nelle modalità il cui il bambino riceve il latte – e dunque lo introduce nel proprio sistema digerente – e non nel latte stesso.
Chiedi consiglio a una consulente per l’allattamento al seno esperta in linguaggio del neonato, se il tuo bambino “soffoca”, tossisce, spinge indietro il seno quando il latte esce con forza dopo alcune poppate (o anche dopo pochi minuti o secondi), perché significa che la poppata non è efficace (e questi segnali vengono scambiati spesso per reflusso).
Un altro motivo del pianto del bebè è rappresentato dall’intensa stimolazione esterna: cambi di ambiente, di voci, di temperatura, etc. Un piccolo consiglio è quello di contenere in piccolo portandolo con un marsupio o una fascia, oppure di farlo sentire avvolto come se fosse ancora nel grembo di mamma fasce strette, sussurri, movimenti gentili e dondolamenti, succhi lenitivi del seno possono essere un toccasana.
Talvolta i primi mesi di vita del neonato sono molto difficili da affrontare per tutta la famiglia, senza alcuna causa specifica. La calma e il riposo possono aiutare a superare questa fase complicata.
Reflusso e allergia durante l’allattamento, cosa evitare
I sintomi del reflusso gastroesofageo sono molto simili a quelli dell’allergia di tipo IV (intolleranza) al latte vaccino: rigurgito frequente o vomito con fastidio, disturbi del sonno, difficoltà a sdraiarsi sulla schiena, pianto intenso, gas intestinale, tensioni all’addome. I bimbi che soffrono di reflusso sembra che provino dolore, non hanno un buon rapporto con il seno, presentano sangue nelle feci.
In questi casi spetta al medico guidare la mamma dopo un’accurata diagnosi basata sulla sua storia medica. Consiglio vivamente una consulenza – anche online – con la Dott.ssa Gloria Ines Villa.
Non esistono bebè intolleranti al latte materno – ovviamente – perché questo è prodotto dalle madri ad hoc per i loro figli (e lo stesso latte si modifica in funzione delle esigenze del neonato anche nell’arco della stessa giornata) ed è il latte più ricco di lattosio tra tutti i mammiferi sulla Terra. Ma se nessun bambino può essere intollerante o allergico alle proteine o al lattosio del latte materno, direi meglio nessun bambino può essere allergico al latte materno, in alcuni rari casi i neonati – soprattutto nei primi mesi di vita – sono intolleranti alle proteine del latte vaccino e delle carni bovine consumate dalla madre e trasferite attraverso il suo latte. In questi casi la mamma deve limitarne il consumo e riprendere dopo qualche settimana.
Una dieta priva di latticini (e spesso priva anche di soia) può richiedere da quattro a più settimane affinché l’organismo smaltisca completamente tutti i residui (e il bebè non ne assuma più). Ma i miglioramenti possono essere visibili già nelle prime settimane. Una valutazione clinica consentirà al medico di orientare meglio la sua diagnosi indipendentemente dal fatto che vi sia o meno una risposta al ritiro delle proteine del latte.
Alcol e caffeina in allattamento
Sarebbe bene limitare sempre e in ogni caso il consumo di alcol e di bevande energizzanti durante l’allattamento, così come evitare qualsiasi dieta ipocalorica.
L’alcol può pure avere un effetto negativo riducendo la produzione di latte. Inoltre, passa nel latte materno in una concentrazione equivalente a quella del sangue.
Se si raggiunge il famoso 0,08%, anche il latte prodotto conterrà lo 0,08% di alcol. Dunque si può certamente bere qualche drink senza sensi di colpa, ma senza esagerazioni di sorta. L’alcol consumato dalla mamma viene eliminato in circa 3 ore, pertanto si suggerisce spesso di bere durante la poppata, così che la successiva possa essere quasi “analcolica”.
Anche la caffeina passa nel latte materno. Ma di solito i bambini tollerano bene piccole quantità di caffeina. D’altra parte, un consumo eccessivo può impedire loro di dormire o renderli irritabili.
Health Canada raccomanda meno di 300 mg di caffeina per le donne che in gravidanza o in allattamento, dunque circa tre caffè al dì. Una tazza di caffè filtro contiene tra 100 e 175 mg di caffeina, ma attenzione ai grandi formati nei ristoranti perché possono contenerne più di 300 mg. L’espresso e il caffè al latte spesso ne contengono meno.
Il tè nero contiene circa 50 mg di caffeina per tazza, mentre il tè verde 30 mg, così che se ne può bere con moderazione. Si consiglia, invece, di evitare bevande energetiche che contengono molta caffeina e altre erbe che non sono sempre compatibili con l’allattamento al seno. Attenzione pure a certe tisane che possono diminuire la produzione di latte se consumate in grandi quantità: salvia, prezzemolo e menta piperita.
Toxoplasmosi e stitichezza del bebè in allattamento
Durante la gravidanza, le mamme non immuni alla toxoplasmosi non devono consumare carni, salumi, uova e pesce crudi – oltre che evitare il contatto diretto con le feci dei gatti – per scongiurare il rischio di contrarre la malattia.
Dopo il parto, non c’è nessun motivo per prolungare simili restrizioni, dal momento in cui i microrganismi presenti in questi alimenti non passano nel latte materno.
Anche la stitichezza è uno dei tanti disturbi che può riguardare i primi mesi di vita del bebè. Ma, pure in questo caso, non esiste alcun legame con l’allattamento al seno e piuttosto il latte materno – a differenza di quello artificiale – facilita la motilità intestinale del piccolo.
Invece la madre – consumando diversi liquidi durante il periodo di allattamento – potrebbe rischiare questo inconveniente. Ecco cosa fare per porvi rimedio:
1) bere molta acqua;
2) consumare ogni giorno verdura, frutta, noci, semi, pane e cereali integrali;
3) utilizzare come snack frutta fresca e frutta secca;
4) prediligere frutta a guscio e semi da includere nella colazione (chia, noci, noci pecan);
5) introdurre cibi ricchissimi di fibre come la crusca;
6) consumare prugne secche.